12 Novembre 2019

Non è nullo l’atto solutorio che estingua il debito postergato in violazione dell’art. 2467 c.c.

di Mario Cascavilla Scarica in PDF

Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, sentenza del 2 luglio 2019

Parole chiave: postergazione – finanziamento soci – vendita – aliud pro alio – risoluzione del contratto.

Massima: “Dal dato letterale dell’articolo 2467 c.c., che pone un principio fondamentale in tema di assunzione in capo al socio del rischio di impresa, emerge che la scelta sistematica del legislatore è stata, nelle ipotesi in cui i soci effettuano finanziamenti alla società che versa in situazione di squilibrio finanziario e di crisi qualificata, di prevedere non la nullità dell’atto solutorio, ma un meccanismo che incide direttamente sugli effetti del negozio di finanziamento e sull’ordine di soddisfazione dei crediti, postergando, come effetto sostanziale automatico, il diritto alla restituzione dell’investito nella società sotto forma di capitale di debito e non capitale di rischio”.

Disposizioni applicate: art. 2467 c.c. – art. 1418 c.c. – art. 1453 c.c..

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Milano chiarisce le conseguenze che debbono farsi derivare dalla violazione della disciplina sulla postergazione dei crediti dei soci, prevista all’art. 2467 c.c. Il tema ha, invero, costituito spesso oggetto di dibattito rispetto ad un altro profilo, ossia quello relativo a quali operazioni possano essere qualificate come “finanziamento soci”, stante la formulazione della norma che, al comma 2°, parla di finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”.

Come è noto, l’art. 2467 c.c. dispone che “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”. Rientrano nell’ambito di applicazione della previsione quei finanziamento effettuati in un momento in cui risulta (i) un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure (ii) una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

Nel caso in esame, parte attrice ha chiesto, inter alia, la declaratoria di nullità di due contratti collegati con i quali:

  1. ha acquistato le partecipazioni detenute da una sua controllata in una terza società, ottenendone una partecipazione diretta (mentre in origine, la partecipazione dell’attrice in detta terza società era mediata attraverso la catena di controllo di due società, tra cui la società cedente);
  2. ha rinunciato a suoi crediti verso la cedente a fronte di una contestuale cessione di crediti da quest’ultima vantati per finanziamenti erogati a favore della terza società.

Ad avviso dell’attrice, la complessiva operazione negoziale – che, da un lato, ha portato all’estinzione di suoi crediti da finanziamento soci verso la controllata e, dall’altro, ad una permuta degli stessi con finanziamenti di pari importo della cedente nella terza società – avrebbe concretizzato un sostanziale rimborso di finanziamento anche alla luce del fatto che la cedente versasse in stato di insolvenza.

In questo scenario, l’operazione avrebbe determinando un risultato contrario alla norma imperativa di cui all’art. 2467 c.c..

Anzitutto, il Tribunale di Milano rileva la mancanza di allegazione da parte dell’attrice idonea a provare il “momento” nel quale i finanziamenti erogati a favore della società cedente sarebbero stati effettuati.

Questo dato deve essere allegato, poiché essenziale per dare la conseguente prova in ordine alla sussistenza, in tale momento, dei presupposti di crisi qualificata che comporta la qualificazione dei finanziamenti come postergati.

In secondo luogo, i Giudici chiariscono che anche volendo qualificare i finanziamenti erogati dall’attrice come soggetti alla disciplina della postergazione, non avrebbe potuto comunque condividersi la tesi relativa alla nullità dell’atto solutorio (che, nel caso di specie, era costituito dall’aver posto in essere l’attrice contestualmente una rinuncia ai crediti vantati verso la cedente e l’acquisto di crediti da quest’ultima vantati verso la terza società).

Secondo il Tribunale di Milano, infatti, “dal dato letterale dell’art. 2467 c.c., che pone un principio fondamentale in tema di assunzione in capo al socio del rischio di impresa, emerge che la scelta sistematica del legislatore è stata, nelle ipotesi in cui i soci effettuano finanziamenti alla società che versa in situazione di squilibrio finanziario e di crisi qualificata, di prevedere non la nullità dell’atto solutorio, ma un meccanismo che incide direttamente sugli effetti del negozio di finanziamento e sull’ordine di soddisfazione dei crediti, postergando, come effetto sostanziale automatico, il diritto alla restituzione dell’investimento nella società sotto forma di capitale di debito e non capitale di rischio”.

Ne deriva che una operazione quale quella posta in essere tra le società, potrebbe tuttalpiù comportare (i) responsabilità dell’organo amministrativo laddove questo, posto di fronte alla richiesta di rimborso del prestito da parte del socio, in una situazione di perdurante crisi qualificata della società, non opponga l’eccezione di inesigibilità, oppure (ii) il diritto della società o della curatela alla restituzione se il pagamento è avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società.