Periodo di comporto e licenziamento
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 13 settembre 2019, n. 22928
Recesso – licenziamento – superamento del periodo di comporto – fattispecie
Massima
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere inclusi nel calcolo del periodo, oltre ai giorni festivi, anche quelli di fatto non lavorati, che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell’episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell’assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta, con la precisazione che la prova idonea a smentire tale presunzione di continuità può essere costituita solo dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa.
Commento
Nel caso in esame la Corte di appello, in riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore il quale aveva chiesto che venisse accertata l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società per intervenuto superamento del periodo di comporto, che nel caso di specie era di 365 giorni. La Corte locale, a sostegno della propria decisione, aveva ritenuto che dal predetto periodo di comporto non potesse scomputarsi quello di congedo richiesto, ai sensi del d. lgs. n. 151/2001, per i giorni dal 2 al 27 dicembre 2014, al fine di assistere un familiare portatore di grave disabilità, posto che tale congedo era stato autorizzato dall’INPS ma la relativa istanza non era stata portata a conoscenza del datore di lavoro, in contrasto con le fonti regolatrici dell’istituto e, in particolare, con l’art. 4, comma 2, l. n. 53/2000 e con il Regolamento di attuazione emanato ai sensi del successivo comma 4 (decreto n. 278/2000 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli affari Sociali). Anche la Corte di Cassazione, adita dal lavoratore, ne ha respinto il ricorso, precisando che il lavoratore che intenda fruire del congedo straordinario ha l’obbligo di presentare la relativa richiesta al proprio datore di lavoro. Secondo i giudici di legittimità tale obbligo emerge chiaramente dalle previsioni del D.M. n. 278/2000, laddove, in particolare, l’art. 2, comma 4, prevede che “il datore di lavoro è tenuto, entro dieci giorni dalla richiesta del congedo, a esprimersi sulla stessa e a comunicarne l’esito al dipendente”. Si tratta di una esigenza di “contraddittorio tra il dipendente e il datore di lavoro”, che permea l’intera normativa e che il Regolamento, al comma 3 dell’art. 2, pone quale limite essenziale dell’autonomia collettiva, là dove prevede che i contratti collettivi possano disciplinare il procedimento per la richiesta e per la concessione o il diniego del congedo. Deriva da quanto detto sopra che l’istanza di congedo straordinario non solo deve essere trasmessa all’I.N.P.S. per le verifiche di competenza e in quanto soggetto che subisce l’onere finanziario del congedo, ma anche al datore di lavoro, per l’adozione delle misure organizzative e amministrative che la richiesta dovesse rendere necessarie. Inoltre, nel caso concreto, essendo pacifico in giudizio che il lavoratore aveva continuativamente “coperto” il periodo dal 2 al 27 dicembre 2014 con certificati di malattia, non vi è dubbio che un eventuale mutamento del titolo dell’assenza avrebbe richiesto un’istanza in tal senso rivolta al datore di lavoro.
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