È valida la notificazione ex art. 140 c.p.c. effettuata presso la casa comunale “sussidiaria”
di Alessandro Carpentiero Scarica in PDFCass. Civile, sez. III, 05/09/2019, n.22167, Pres. De Stefano – Rel. Rossetti
Soggetti – Notificazione a destinatario irreperibile – Casa comunale (Cod. proc. civ. art. 140)
E’ valida la notifica di atti effettuata presso un luogo alternativo e sussidiario alla “casa comunale” designato dalla amministrazione come equipollente alla stessa.
CASO
Il Giudice di Pace di Firenze rigettava l’opposizione proposta da parte ricorrente avverso una cartella esattoriale, alla stessa notificata, in virtù del mancato pagamento di due sanzioni amministrative per altrettante violazioni del Codice della strada.
A fondamento della suddetta opposizione il ricorrente deduceva vizi di notificazione dei due verbali di accertamento delle violazioni, prodromici alla cartella.
Il Tribunale di Firenze confermava la decisione del giudice di prime cure, con sentenza che veniva fatta oggetto del ricorso per Cassazione deciso con il provvedimento in epigrafe.
In particolare, con il primo motivo di doglianza, parte ricorrente deduceva la violazione dell’art. 140 c.p.c. sostenendo che il procedimento di notificazione dei verbali non si fosse svolto ritualmente. Il deposito del piego infatti, non era avvenuto presso la sede istituzionale del Comune (così come prescrive la norma de qua in caso di irreperibilità del destinatario), bensì in un luogo indicato dalla amministrazione – con determinazione dirigenziale – come “casa comunale sussidiaria”, in difformità, dunque, con la littera legis della norma testè citata.
SOLUZIONE
La Suprema Corte dichiarava il motivo prospettato da parte ricorrente infondato, sul presupposto che alla amministrazione non è inibito designare, quali case comunali, luoghi ulteriori e plurimi rispetto al Municipio, i quali, peraltro – aggiungono i Giudici di legittimità-, sono da considerarsi a tutti gli effetti come equipollenti a quest’ultimo.
Conseguentemente, stabiliva la validità ed efficacia della notifica rigettando integralmente il ricorso.
QUESTIONI
La Corte, nella pronuncia in esame, si è interrogata sulla validità della notifica effettuata ex art. 140 c.p.c., non presso la sede principale del Municipio, bensì in un luogo indicato dalla amministrazione come “casa comunale sussidiaria”.
Prima di procedere all’ analisi del percorso logico che la S.C. ha seguito per giungere alla propria decisione, tuttavia, è opportuno richiamare – brevemente – la disciplina dettata dalla norma citata.
Tale disposizione contempla una ipotesi di notificazione che prescinde totalmente dalla materiale trasmissione di una copia dell’atto al destinatario, realizzandosi attraverso formalità che rendono meramente virtuale ed ipotetica la sua conoscenza effettiva da parte di quest’ultimo.
Infatti, presupposto per il ricorso alla stessa, è l’irreperibilità del destinatario, ovvero la mancata reperibilità, il rifiuto o l’incapacità di ricevere la copia dell’atto da parte dei soggetti indicati all’ art. 139 c.p.c., in sostanza: l’impossibilità di provvedere alla notifica con le modalità da quest’ultimo articolo indicate.
Proprio in ragione di ciò, il legislatore prevede che la notificazione dell’atto si esegua attraverso una triplice formalità che, se da un lato è in grado di far sì che lo stesso pervenga quanto meno nella sfera di conoscibilità del suo destinatario, dall’ altro – come poc’anzi sottolineato – non è idonea a garantire la certezza legale della sua conoscenza da parte di quest’ultimo. Tale formalità, in sostanza, implica: il deposito della copia dell’atto da notificare presso la casa comunale; l’affissione di un avviso di tale deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda presso cui è stata tentata senza successo la notifica; la spedizione al destinatario di una raccomandata con avviso di ricevimento al fine di informarlo dell’avvenuto deposito della copia.
Il procedimento di notificazione, nel caso che qui interessa, si è svolto rispettando ciascuno degli adempimenti appena delineati, con la sola particolarità – più volte richiamata – rappresentata dalla circostanza che il deposito della copia dell’atto da notificare è avvenuto presso un luogo diverso dalla “casa comunale”, designato dalla amministrazione come sussidiario rispetto alla stessa.
Soffermandosi sul percorso logico seguito dalla Corte nella decisione in esame, emerge come questa abbia affermato la validità della notificazione prescindendo da ogni riferimento alle disposizioni processuali in materia di sanatoria (in particolare per convalidazione oggettiva) di cui all’ art. 156, terzo comma, c.p.c., alle quali rinvia espressamente l’art. 160 c.p.c., risolvendo la questione, invece, sul piano sostanziale mediante una interpretazione storica nonché sistematica del testo normativo.
Attraverso l’interpretazione storica, dunque, la Suprema Corte è giunta a rilevare come la ratio legis – rappresentata dalla facilità di individuazione – sottesa alla elezione della casa comunale quale luogo deputato allo svolgimento delle più varie attività (tra le quali quella disciplinata all’ art. 140 c.p.c.), possa attualmente dirsi cessata.
Ciò è da ascrivere, secondo la Corte, ad un mutamento del contesto socioeconomico il quale consente di affermare come la possibilità che i cittadini siano tratti in errore nella individuazione della casa comunale o dei luoghi destinati a sostituirla sia puramente teorica.
Pertanto, in applicazione del principio compendiato nell’ adagio “cessante ratione legis, cessat et ipsa lex”, l’espressione “casa del comune” deve essere intesa come sinonimo di municipio o altro luogo a tal fine designato dall’ amministrazione comunale.
Ad analoghi esiti la Corte è pervenuta attraverso una complessiva considerazione delle numerose disposizioni, sostanziali e processuali, recanti l’espressione “casa comunale” o “casa del comune”, presenti nell’ ordinamento.
Tra queste, in particolare, i Supremi giudici hanno ritenuto dirimente l’art. 3 del D.P.R n. 396/2000 (recante Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile): ciò per le importanti ricadute sul piano logico che tale norma – pur riguardando la materia matrimoniale – presenta e poiché oggetto di un importante parere del Consiglio di Stato.
Questo, infatti, richiesto di interpretare la disposizione de qua – la quale consente ai Comuni di disporre l’istituzione di uno o più separati uffici dello stato civile, anche per lo svolgimento di singole funzioni – ha chiarito che “casa comunale” può essere considerata qualunque struttura nella disponibilità giuridica del comune vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali (Cons. di Stato, sez. I, parere 22.1.2014 n.196).
Inoltre, dal punto di vista logico, la Corte, sulla base della suddetta disposizione, è giunta ad affermare – attraverso il ricorso al tradizionale canone ermeneutico dell’a foritori – la possibilità per le amministrazioni di istituire case comunali alternative per il deposito degli atti notificati ai sensi dell’art. 140 c.p.c. Infatti, come affermato dalla stessa S. C., se la legge consente la delocalizzazione, rispetto alla sede del Comune, della celebrazione del matrimonio, a maggior ragione dovrà ritenersi consentita la delocalizzazione della casa comunale per i fini anzidetti. Se così non fosse si perverrebbe all’ assurdo, contrastante appunto con il canone dell’a fortiori, per cui la legge richiederebbe oneri formali meno rigorosi per un atto di preminente importanza quale il matrimonio, mentre esigerebbe oneri ben maggiori per atti di minor rilievo, come quello nel caso affrontato: il deposito di verbali di accertamento non potuti consegnare al destinatario.
A conclusione delle sue argomentazioni la S.C. precisa la portata di due propri precedenti (Cass. Civ. sez. II, 3 Febbraio 1993, n.1321 e Cass. Civ. sez. VI, 3 Ottobre 2012, n.16817) – invocati da parte ricorrente poiché ostativi alla affermazione della validità della notifica – escludendone la rilevanza nel caso di specie.
Infatti, nel primo, il Collegio ritenne nulla la notificazione eseguita presso la casa comunale di una frazione del Comune, non perché fosse inibito all’ amministrazione designare luoghi equipollenti alla sede principale del Municipio, ma per la diversa considerazione che le frazioni comunali non hanno una propria casa comunale; nella seconda pronuncia, invece, i Giudici di legittimità ritennero nulla la notifica ex art. 140 c.p.c., eseguita mediante il deposito del piego in un ufficio decentrato del comune, non perché la copia dell’ atto venne depositata in un luogo designato dalla amministrazione quale equivalente alla casa comunale, ma per la diversa ragione che la designazione dello stesso era avvenuta sulla base di un provvedimento adottato dopo l’esecuzione della notifica.
Alla luce di quanto detto, la Corte – in conclusione – ha affermato come la “casa del comune” in cui l’ufficiale giudiziario è chiamato, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., a depositare la copia dell’atto da notificare, si identifica, in alternativa alla sede principale del comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali individuata con preventivo provvedimento e menzionata nell’ avviso di avvenuto deposito.