17 Settembre 2019

I frontalini dei balconi sono parti comuni, (se ed) in quanto aventi valore ornamentale della facciata dell’edificio

di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione – seconda sezione civile – ordinanza n. 27413 del 29 ottobre 2018

Condominio – facciata, balconi e frontalini – parti comuni dell’edificio – mancata prova di titolo contrario –regolamento condominiale (assembleare) e inderogabilità della legge

Riferimenti normativi: art. 1117 c.c. – art. 1118 c.c. – art. 1138 c.c.

“… Deve, quindi, trovare conferma in questa sede il principio secondo cui gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio – come i cementi decorativi relativi ai frontali (ed ai parapetti) – svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio inserendosi nel suo prospetto, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, c.c., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno …”

“… la previsione regolamentare, nell’individuare il richiamato obbligo (preposto ad impedire soltanto l’adozione di cattive condotte manutentive sulle sole parti di proprietà esclusiva), non poteva determinare un’incidenza sulla modificazione – sotto il profilo della titolarità – delle parti di proprietà condominiale, estendendo il concetto di proprietà esclusiva anche ai suddetti frontalini che, invece, dovevano continuare a ritenersi riferibili alle parti condominiali …”

IL CASO

Un Condominio deliberava di assegnare ad un’impresa edile i lavori per il rifacimento dell’intera facciata, compresi i balconi.

In seguito venivano ripartire le spese: un condomino lamentava la ripartizione pro quota, siccome condominiali, delle spese relative al rifacimento dei frontalini esterni dei balconi, intesi come la cornice sottostante il piano di calpestio.

Seguiva pertanto l’impugnazione della delibera condominiale, da parte di detto condomino.

Il primo Giudice accoglieva l’impugnazione, ritenendo fondato che il regolamento condominiale includesse i balconi nelle parti di proprietà esclusiva, ad ogni effetto, compreso quello estetico.

Il Condominio impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, la quale accoglieva il gravame ritenendo, diversamente dal Tribunale, che il regolamento condominiale si limitasse a prescrivere ai proprietari la regolare manutenzione dei propri balconi, senza per ciò solo derogare alla qualificazione giuridica, siccome parti comuni, dei frontalini.

La sentenza veniva quindi impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, da parte del condomino dissenziente.

SOLUZIONE

La Corte, con ordinanza in camera di consiglio, rigettava il ricorso e confermava la sentenza appellata.

QUESTIONI

La sentenza prende in esame, ancora una volta, la qualificazione giuridica dei frontalini dei balconi: attengono alla facciata e sono quindi parti comuni ex art. 1117 c.c. o attengono al balcone e sono quindi di proprietà esclusiva?

Il tema non è nuovo: già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva ravvisato la natura condominiale di dette parti della facciata, in ragione del contributo decorativo che ad essa apportano; né la decisione in commento si discosta dall’orientamento consolidato[1].

Ciò premesso, pare opportuno evidenziare che – pur nell’ambito di un indirizzo giurisprudenziale costante – talune pronunce (tra le quali non rientra quella in esame) hanno avuto il pregio di meglio precisare che solo in presenza di un effettivo contributo estetico del frontalino, tale cioè da rendere la facciata più gradevole, detto bene è da considerare condominiale, beneficiandone di fatto tutti i condomini (e non solo i proprietari dei relativi balconi). In assenza di tale effetto migliorativo sulla facciata, i frontalini sono di proprietà esclusiva[2].

In altre parole, l’effetto decorativo dei frontalini non è implicito; del resto, se così fosse, l’ascrivibilità, sic et simpliciter, dei frontalini tra le parti comuni potrebbe favorire conflitti tra condomini, laddove, per esempio, il condominio deliberasse di intervenire su facciate del tutto prive di pregio artistico/architettonico.

Altro tema della sentenza in commento, benché semplicemente accennato, è quello della inderogabilità delle disposizioni di legge (parti comuni) da parte del regolamento condominiale (assembleare): la Cassazione esclude infatti che detto regolamento – quand’anche lo avesse previsto, circostanza peraltro non sussistente nel caso – potesse integrare il titolo contrario, idoneo ad escludere la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c.

La decisione è quindi in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui il regolamento condominiale assembleare, approvato a maggioranza dall’assemblea condominiale, disciplina (tra le altre) l’uso delle parti comuni (art. 1138, co. 1, c.c.), senza tuttavia (art. 1138, co. 4, c.c.) poter menomare i diritti dei singoli condomini quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni e senza potere, in nessun caso, derogare all’art. 1118, co. 2, c.c. (“Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni”)[3].

Solo attraverso il regolamento condominiale contrattuale (predisposto dal costruttore e vincolante per tutti gli acquirenti), infatti, è possibile derogare alle norme (derogabili) del codice civile, in materia di comunione e condominio, introducendo, per esempio, il titolo contrario alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c.[4].

A margine della presente vicenda, si osserva che la pacifica derogabilità ai criteri di individuazione dei beni comuni ex art. 1117 c.c., per effetto del regolamento contrattuale, solleva più di un problema circa la perspicuità e l’interpretazione della nuova disposizione introdotta dalla riforma con l’art. 1118, co. 2, c.c.

“Ma questa è un’altra storia …”.

 

[1] Ma contra si veda Trib. Roma, sez. V, 28.02.2019

[2] Cass. Civ., sez. II, 29.10.2018 n. 27413; Cass. Civ., sez. II, 14.12.2017 n. 30071; Cass. Civ., sez. II, sent., 16.02.2012 n. 2241; Cass. Civ., sez. II, 21.01.2000 n. 637; Cass. Civ., sez. II, 28.11.1992 n. 12792

[3] Cass. Civ., sez. II, 29.01.2018 n. 2114; Cass. Civ., sez. II, 31.08.2017 n. 20612

[4] Cass. Civ., sez. II, 21.02.2017 n. 4432; Cass. civ., sez. II Ord., 09.08.2018 n. 20693; Cass. civ., sez. II, Sent., 24.04.2018 n. 10073