18 Giugno 2019

Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sospensione del processo civile nella corretta interpretazione dell’art. 75, c. 3, c.p.p.

di Fabio del Torchio Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. Unite, 21 maggio 2019, n. 13661, Pres. G. Mammone, Rel. A.M. Perrino

Procedura Civile (Cod. proc. pen. art. 75, 651-bis, 652, e 654 e cod. proc. civ. art. 42 e 295)

Le Sezioni Unite, su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652, e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.

CASO

Nel procedimento penale per la morte di Tizio a causa di un incidente stradale, nel quale si costituivano parte civile (solo) i fratelli della vittima, il responsabile del sinistro veniva condannato in primo grado a due anni di reclusione e al risarcimento del danno morale.

Dopo la sentenza penale di primo grado, i congiunti della vittima (moglie, i figli e il padre della vittima) proponevano azione civile per il risarcimento dei danni nei confronti di Caio, proprietario e conducente del veicolo investitore, nonché della compagnia assicuratrice per la responsabilità civile.

Il Tribunale civile, tuttavia, disponeva la sospensione del giudizio ex artt. 295 c.p.c. e 75, ultimo comma c.p.p., sul rilievo che l’azione civile era stata avviata dopo la sentenza del Tribunale penale, nel frattempo impugnata e, pertanto, non ancora passata in giudicato.

Contro il provvedimento di sospensione, i congiunti della vittima proponevano regolamento di competenza, attesa la mancata coincidenza fra parti civili (fratelli della vittima) e attori nel giudizio risarcitorio (madre, figli e padre della vittima).

La terza sezione civile della Corte di cassazione prospettava al Primo Presidente l’opportunità di devolvere il giudizio alla cognizione delle Sezioni Unite, al fine di risolvere la questione se “il giudizio civile in esame debba essere necessariamente sospeso nei confronti di tutti i litisconsorti, oppure se la sospensione operi soltanto in relazione all’azione risarcitoria proposta nei confronti del conducente-imputato, oppure ancora se non operi sospensione alcuna”.

SOLUZIONE

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, annullano l’ordinanza di sospensione del giudizio civile, disponendo la prosecuzione dello stesso innanzi al Tribunale, anche per le spese.

Le Sezioni Unite, infatti, con la sentenza in esame affermano il seguente principio nomofilattico: “in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, 3° co., c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato“.

QUESTIONI

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Suprema Corte rispondono alla vexata quaestio sui presupposti di operatività della sospensione necessaria ex art. 75, c. 3 c.p.p.

La Suprema Corte, infatti, è stata chiamata a rispondere al seguente quesito: il giudizio di risarcimento del danno proposto avanti al giudice civile nei confronti del conducente, del proprietario del veicolo e della società assicurativa RCA, successivamente alla pronuncia della sentenza penale di primo grado emessa nei confronti del conducente-imputato per il reato di lesioni personali e in difetto di costituzione di parte civile nel processo penale, deve essere necessariamente sospeso nei confronti di tutti i litisconsorti oppure soltanto in relazione all’azione risarcitoria proposta nei confronti del conducente-imputato, oppure, ancora, non opera sospensione alcuna?

Il codice di procedura penale del 1930 aveva come principio ispiratore quello della unità della giurisdizione e della preminenza del giudizio penale sul giudizio civile, al fine di evitare pronunce tra loro contrastanti.

Il nuovo codice di procedura penale del 1988, invece, ripudia il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità e dell’autonomia dei giudizi (tra varie, Cass., sez. un., 11 febbraio 1998, n. 1445 e sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768).

Il secondo comma dell’art. 75 del vigente c.p.p. conferma che la pendenza del processo penale non condiziona lo svolgimento di quello civile, che può proseguire, “se l’azione non viene trasferita in sede penale, ovvero se è iniziata quando non è più possibile la costituzione di parte civile”.

In questo modo il nostro ordinamento esclude la priorità cronologica degli accertamenti penali rispetto al risarcimento del danno in sede civile e accetta il rischio di difformità dei giudicati ai quali i giudizi separati conducano.

Il terzo comma dell’art. 75, c. 3. c.p.p. prevede che, se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di  parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il giudizio civile debba essere sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva.

Le ipotesi di sospensione previste dal terzo comma dell’art. 75 c.p.p. rappresentano una deroga rispetto alla regola generale della separazione dei giudizi e dell’autonoma prosecuzione di ciascuno di essi.

La sospensione necessaria, infatti, sanziona la scelta compiuta dal danneggiato che abbia optato, sin dall’inizio, per la proposizione in seno al processo penale della propria domanda risarcitoria: in tal caso, anche se il danneggiato dismette la qualità di parte civile, egli dovrà sottostare all’accertamento dei fatti compiuto in sede penale.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte precisano che la natura derogatoria della predetta disposizione ne impone un’interpretazione restrittiva.

Secondo la Suprema Corte, infatti, imporre al danneggiato-attore che si sia tardivamente rivolto al giudice civile di attendere l’esito del processo penale ha senso soltanto se e in quanto quest’esito, se definitivo, sia idoneo a produrre i propri effetti sul processo civile ai sensi degli artt. 651, 651- bis, 652 e 654 c.p.p.

In virtù di quest’interpretazione restrittiva occorre che tra i due giudizi vi sia piena identità, oltre che di oggetto, anche di soggetti, alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni (Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538).

Secondo le Sezioni Unite, pertanto, se non v’è coincidenza tra i soggetti costituiti parti civili nel processo penale e coloro che propongono il giudizio civile, peraltro nei confronti non soltanto dell’imputato-danneggiante, ma anche di altro litisconsorte, cioè la società assicuratrice della responsabilità civile, non ha senso attendere l’esito del processo penale e nessuna sospensione del processo civile va pronunciata, neppure con riguardo all’azione risarcitoria contro il conducente, imputato in sede penale.