La reintegrazione della legittima in via stragiudiziale: profili fiscali
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 5, Ordinanza n. 1141 del 17/01/2019
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI – IMPOSTA DI REGISTRO – APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA – IN GENERE Accordi tra i legittimari – Natura – Qualificazione – Conseguenze – Fattispecie.
Gli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari sono assoggettati all’imposta di registro ai sensi dell’art. 29 del D.P.R. n. 131 del 1986, e non a quella di successione, ove non abbiano natura meramente ricognitiva dell’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, ma siano volti a modificare e/o integrare le stesse, poiché le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura ereditaria ma concretano un trasferimento.
Disposizioni applicate
Articolo 29 D.P.R. n. 131 del 26/04/1986; articolo 43 D.Lgs. n. 346 del 31/10/1990; articolo 1965 cod. civ.
[1] Nel corso di un giudizio civile, Tizio (nominato, con testamento, erede universale della propria madre Mevia) e Caio (beneficiato con un legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili) raggiunsero un accordo in forza del quale Caio rinunciava alla disposizione a titolo di legato a lui fatta (e per tale via, conseguentemente l’immobile oggetto di legato sarebbe stato trasferito a Tizio, erede universale), accettando una somma di denaro che lo reintegrasse dei propri diritti di legittimario. L’accordo veniva suggellato in un verbale di conciliazione ove si chiedeva l’applicazione della imposta sulle successioni, ai sensi dell’art. 43, D. Lgs. n. 346 del 1990, nella formulazione vigente al momento dell’apertura della successione testamentaria, anziché della imposta di registro.
L’Ufficio del registro emetteva un avviso di liquidazione per imposta di registro pari al 3% della somma versata a favore di Caio, ai sensi dell’articolo 29, D.P.R. n. 131 del 1986.
Tizio presentava ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale lo respingeva, confermando la sentenza di primo grado e ritenendo, in particolare, che “gli accordi transattivi tesi a reintegrare i diritti di legittima (purché risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata, quindi rivestiti di forma solenne)” sono cosa diversa dalla conciliazione giudiziale; come quella nel caso di specie, da ricondurre all’art. 29 D.P.R. n. 131/1986, trattandosi “sostanzialmente di transazione tra due parti“, e che va “tassata in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano, in quanto transazione che non importa trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali“, avendo il notaio “semplicemente effettuato la trascrizione dell’accettazione di eredità formulata da Tizio, originariamente erede universale“, essendo, viceversa, inapplicabile l’imposta sulle successioni.
Tizio adiva, dunque la Cassazione, fondando il proprio ricorso su tre motivi.
2] Con il primo motivo, il ricorrente evidenziava come la sentenza impugnata non spiegasse le ragioni per le quali il citato articolo 43 del Testo Unico sull’imposta di successione non potesse trovare applicazione anche con riferimento ai verbali di conciliazione giudiziale, trattandosi di atti a fede privilegiata, con sottoscrizione delle parti resa certa dalla presenza del giudice e del cancelliere, assimilabili ad un negozio di diritto privato.
Tale rilievo è stato ritenuto fondato dalla Suprema Corte, che ha dichiarato, altresì, così assorbiti il secondo e terzo motivo.
Con il secondo motivo in particolare, venivano dedotte, in via subordinata: “violazione degli articoli 523 e 551 c.c., 1, comma 497, L. n. 266 del 2005, omessa valutazione di un punto decisivo della controversia, motivazione assente, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, giacché ove non fosse applicabile l’imposta sulle successioni, l’imposta di registro, come subordinatamente richiesto dal contribuente, avrebbe dovuto essere quantificata con riguardo al valore dei cespiti, determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, d.p.r. n. 917 del 1986 (TUIR), (…) non potendo condividersi la tesi, fatta propria del giudicante, secondo cui Caio, beneficiario di legato in sostituzione di legittima, ai sensi dell’art. 551 c.c., non sarebbe mai diventato proprietario dei beni legatigli dalla madre, avendo rinunciato agli stessi, di tal che il verbale conciliativo non avrebbe trasferito alcunché a Tizio, atteso che, nella esaminata fattispecie, il legatario è anche legittimario, e la proprietà dei beni oggetto di legato si acquista in maniera automatica alla morte del testatore, ai sensi dell’art. 649 c.c., senza necessità di accettazione alcuna”;
Il terzo motivo di impugnazione verteva sulla nullità dell’impugnato avviso di liquidazione, in quanto privo di scheda esplicativa.
Per quanto qui di interesse, ovviamente, sono le questioni di cui ai primi due motivi, che meritano un approfondimento.
Gli Ermellini espongono un ragionamento che porta ad una conclusione favorevole per il contribuente, ma che non può dirsi pienamente coerente.
Sebbene la Suprema Corte, come visto, dichiari assorbito il secondo motivo all’accoglimento del primo, non si ferma a ciò ed analizza nel dettaglio la natura del verbale di conciliazione per affermarne la riconducibilità ad un’ipotesi disciplinata dall’art. 43.
Lo sviluppo del pensiero dei giudici può così essere sintetizzato.
Un legittimario, leso nella propria quota di riserva, può adire la via giudiziale ovvero addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive. “A tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva, ma meramente ricognitiva, di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive”. La citata norma tributaria, sottrae tali accordi “dall’ambito di applicazione dell’ordinaria imposta di registro, per assoggettarlo all’imposta di successione, in coerenza con l’effetto che gli è proprio, l’acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto, tant’è che esso va trascritto, ai sensi degli artt. 2648, comma 3, e 2650 c.c., nonché annotato, ai sensi dell’art. 2655 c.c., ai margini della trascrizione dell’originario acquisto lesivo, al fine di assicurare la continuità delle trascrizioni”.
La Corte precisa e ribadisce, poi, come al legittimario non sia precluso di stipulare un accordo di natura transattiva disciplinato dall’artico 1965 cod. civ., “ma in tal caso la tassazione dell’accordo segue le ordinarie regole in tema di imposta di registro, avuto riguardo ai concreti effetti (anche eventualmente traslativi) voluti dalle parti contraenti, in quanto le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura sostanzialmente ereditaria, e non sono soggette, quindi, all’applicazione dell’imposta sulle successioni, ma si inseriscono, attraverso il meccanismo delle reciproche concessioni, nella composizione di una lite, attuale o futura, originata da una pretesa lesione dei diritti di legittima”.
La decisione si concentra dunque sulla necessità di esattamente individuare la natura dell’accordo oggetto del verbale di conciliazione, “occorrendo accertare se le parti abbiano inteso esclusivamente reintegrare i diritti di legittima lesi, ovvero modificare e/o integrare in via negoziale l’assetto della successione, rispetto a quanto disposto dal testatore”.
E la conclusione cui giunge è che “dal verbale di conciliazione emerge che i litiganti sono addivenuti ad una determinazione pattizia della legittima e della reintegra conseguente, ed a tal fine è irrilevante che le parti, invece di procedere ad una nuova determinazione dell’asse ereditario e delle quote spettanti ad ognuno, abbiano convenuto che la legittima dovesse ritenersi correttamente reintegrata mediante l’attribuzione di una somma di denaro, a Caio, destinatario di legato in sostituzione di legittima, a fronte della sua rinuncia a conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege, e, comunque, a conservare anche solo in parte il legato”, così riconoscendo l’applicabilità della norma di cui al più volte richiamato art. 43.
[3] Se le conclusioni cui giunge la Suprema Corte sono condivisibili (a giudizio dello scrivente sarebbe auspicabile un’interpretazione meno restrittiva della norma tributaria e tesa a ricomprendere nel suo ambito di applicazione anche ipotesi di natura transattiva, se effettivamente volte a dirimere vertenze in tema di reintegrazione della legittima), esse non paiono perfettamente collimare con la ricostruzione dell’istituto posta a sostegno della decisione.
Il caso di specie, infatti, vedeva la rinuncia al legato in sostituzione di legittima da parte di Caio ed il riconoscimento a questi di una somma a tacitazione dei propri diritti di legittimario. Ora, è certamente vero che il bene immobile oggetto del legato non viene ritrasferito da Caio a Tizio per effetto dell’accordo raggiunto (il “trasferimento” non avviene: Tizio diviene titolare del bene in quanto erede universale e a seguito della rinuncia al legato da parte del proprio fratello). Ma, proprio in virtù della rinuncia al legato, Caio (come ritenuto dalla dottrina e giurisprudenza assolutamente dominanti) non acquista in alcun modo la qualità di erede, e si trova nella posizione di qualsiasi altro legittimario totalmente pretermesso.
Se, dunque, in tale momento le parti addivengono ad un accordo che va a tacitare i diritti del legittimario (pretermesso) con il riconoscimento di una somma di denaro – a fronte, ovviamente, della rinuncia ad azionare (o continuare) un giudizio di riduzione –, quest’ultimo certamente non acquista la qualità di erede.
Ed è a questo punto che il ragionamento della Corte perde di coerenza. Se, come da essa affermato la ratio che giustifica la sottrazione degli accordi di reintegrazione di legittima all’ambito di applicazione dell’imposta di registro è da rinvenirsi “in coerenza con l’effetto che gli è proprio, (ossia) l’acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto”; non si vede come possa tale effetto verificarsi nel caso di specie: la somma di denaro non viene acquisita da Caio ex lege, né a causa di morte. Tant’è che egli, a rigore, non diviene erede.
In quelli che la dottrina prevalente qualifica come veri e propri accordi di reintegrazione di legittima, i soggetti interessati si limitano a riconoscere l’inefficacia delle disposizioni testamentarie o liberali eventualmente lesive dei diritti dei legittimari. Detti accordi, come riconosciuto dalla stessa sentenza qui in commento, si distinguono da quelli aventi natura traslativa, dovendosi qualificare come di mero accertamento.
Solo tali negozi potrebbero giovarsi dell’agevolazione fiscale di cui all’articolo 43 D.Lgs. n. 346/1990.
E sempre sotto il profilo fiscale, merita di essere posta l’attenzione su di un altro aspetto troppe volte ignorato o sottovalutato.
Il raggiungimento di un accordo che vada a “reintegrare” i diritti del legittimario, ma non inquadrabile nei veri e propri accordi di reintegrazione, come detto, sconterebbe l’imposta di registro (pari al 3%). E proprio il pagamento di tale imposta viene spesso tenuto in considerazione nella valutazione della convenienza della proposta transattiva.
Tuttavia, l’accordo raggiunto, ritenuto “opportuno” sulla base delle considerazioni anche fiscali così effettuate, potrebbe rivelarsi ben poco soddisfacente per colui che dovesse ricevere un bene o una somma di denaro a tacitazione dei propri diritti di legittima.
Non può, infatti, non tenersi conto del parere dell’Agenzia delle Entrate in argomento.
In un caso in cui, a fronte della rinuncia a proseguire nella propria azione di riduzione, un legittimario si era visto trasferire un bene immobile, con la risposta a interpello n. 129 del 28/12/2019, l’Agenzia, dopo aver richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “il legittimario non ha la posizione di chiamato all’eredità, quando sia stato pretermesso dal testatore” – e sottratto, conseguentemente, dall’ambito di applicazione dell’art. 43 gli accordi di natura transattiva -, giunge a concludere che “pertanto, poiché gli istanti non hanno assunto la veste di eredi, l’importo di euro …. che è il valore degli immobili trasferiti a titolo transattivo, valore risultante dal medesimo atto transattivo, costituisce una componente reddituale riconducibile alla disposizione di cui all’art 67, comma 1, lettera l) del TUIR, secondo cui vanno assoggettati a tassazione quali redditi diversi quelli derivanti “dall’assunzione di obblighi di fare, non fare (cui sono equiparate le ipotesi di rinuncia ad esercitare un’azione, n.d.r.) o permettere.” Precisa, ancora, “che la transazione estinguendo la lite, ha creato dei rapporti inter vivos diversi da quelli di successione”
Per l’Agenzia, dunque, non solo l’accordo transattivo sarebbe assoggettato all’imposta di registro; i valori oggetto dell’accordo stesso dovrebbero, altresì, essere inseriti nella dichiarazione dei redditi di colui che li riceve.
Tale posizione deve essere tenuta in debita considerazione da parte dei professionisti nello svolgimento della propria attività di consulenza ed assistenza, al fine di individuare una soluzione consapevole