La concessione di superficie condominiale per l’installazione di infrastrutture necessarie al servizio pubblico di telefonia mobile e la deroga al principio di accessione: unanimità o maggioranza?
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione – Seconda sez. civile – Ordinanza interlocutoria n.08943/2019
Condominio – parti comuni – deliberazioni assembleari – innovazioni – impianti di telefonia mobile – regolamento condominiale contrattuale – art. 812 c.c. – art. 1571 c.c. – art. 934 c.c. – art. 1593 c.c. – art. 1027 c.c. – art. 1108 c.c. – art. 1120 c.c.
“… nell’ambito di un condominio edilizio, l’uso indiretto di una parte comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza, sempre che non sia possibile l’uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o turni temporali, costituendo, dunque, l’indivisibilità del godimento o l’impossibilità dell’uso diretto il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto”.
“Quando la maggioranza dei condomini deliberi di locare la cosa comune ad un terzo, non si pone proprio questione di violazione dell’art. 1102 c.c., in quanto tale norma tutela l’uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto”.
“…risulterebbe che l’art. 1593 c.c. costituisce una disciplina speciale rispetto agli artt. 934 e 936 c.c., seppur non nel senso di negare l’acquisto immediato della proprietà dell’addizione in capo al proprietario del fondo locato, ma soltanto nel senso di attribuire al conduttore lo ius tollendi delle addizioni separabili senza nocumento, esercitabile alla fine dalla locazione. È tuttavia ammissibile che il contratto di locazione regolamenti convenzionalmente il regime delle addizioni, introducendo una più radicale deroga al principio dell’accessione, rispetto a quella già stabilita dall’art. 1593 c.c., in maniera che le costruzioni realizzate dal conduttore nel corso del rapporto non siano mai acquistate in proprietà dal locatore”
Inquadramento generale del caso
Il Condominio ed alcuni condomini domandavano la rimozione dal tetto del fabbricato condominiale di antenne per servizio pubblico di telefonia mobile, di proprietà di un gestore di telefonia e dei relativi impianti collegati tramite cavi ad una cantina di proprietà esclusiva di altro condomino. Tale ultimo condomino, prima della costituzione del Codominio, aveva concesso in locazione una parte di tetto e la propria cantina all’operatore di telefonia, deducendo poi, l’opponibilità del contratto di locazione a tutti gli altri condomini, in quanto i successivi acquirenti delle altre unità immobiliari, poi costituenti il “nascente” condominio, accettando il regolamento di condominio di natura contrattuale, ove si dava conto della locazione (rectius: “della servitù derivante dall’installazione dell’impianto di telefonia sul tetto condominiale”), avrebbero accettato de plano, la predetta situazione giuridica, peraltro, loro opponibile in ragione della registrazione del contratto di locazione in data antecedente la costituzione del condominio stesso
La causa dopo alterne vicende e differenti esiti: il Tribunale rigettava la domanda del Condominio di rimozione dell’impianto; la Corte d’appello l’accoglieva; perveniva in Cassazione.
Dopo un’ordinanza interlocutoria di fissazione in camera di consiglio, il collegio, ritenuta la particolare rilevanza giuridica della questione di diritto, la rimetteva in pubblica udienza, per poi decidere di rimettere la questione di diritto alle Sezioni Unite.
L’uso diretto e/o indiretto della cosa e la delibera.
Il condominio veniva a costituirsi quando una prima ed una seconda società acquistavano separatamente gli immobili originariamente dall’unico proprietario ed allorquando una delle due società, senza “dissenso” dell’altra, concedeva in locazione parte del tetto e la propria cantina, per l’installazione dell’impianto di telefonia ad un terzo; locazione poi ratificata dai successivi acquirenti di altri immobili del fabbricato e dalla successiva costituzione del condominio, nel momento in cui essi approvavano all’unanimità il regolamento di condominio.
Partendo da tali elementi fattuali, la Corte si è interrogata sulla qualificazione giuridica del contratto di concessione degli spazi comuni e se esso assume la veste di una “semplice” locazione o viene a costituirsi una servitù prediale.
L’uso indiretto della parte comune può essere concesso in godimento a seguito di una deliberazione a maggioranza, sempre che non vi sia la possibilità di un uso diretto da parte dei condomini, per tale intendendosi la situazione di godimento proporzionale alla quota di spettanza, tramite un frazionamento temporale o degli spazi. Pertanto la necessità di delibera assembleare sorge nel momento in cui divenga impossibile l’uso diretto del bene.
La doglianza riguardo l’articolo 1102 c.c. non si pone, poiché giurisprudenza di Cassazione[1] ritiene che tale norma vada interpretata nel senso di tutela dell’uso diretto e non indiretto.
Altra corrente giurisprudenziale[2], ha ritenuto che in tema di concessione del godimento di un bene condominiale ad un terzo, debba essere applicata analogicamente la normativa in tema di comunione ordinaria, con riferimento all’amministrazione (art. 1105 c.c.): non sarebbe necessaria una deliberazione assembleare, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione, fino a prova contraria compiuto nell’interesse di tutti, considerandosi, inoltre, gestione d’affari non rappresentativa.
Dunque, il singolo condomino potrebbe concedere in locazione un bene di proprietà della compagine, anche senza previa delibera, in qualità di gestore o mandatario tacito sempre che sia finalizzato all’interesse di tutta la collettività, o almeno della maggioranza, a meno che il fine ultimo del negozio non sia la sola tutela degli interessi del singolo e non del gruppo.
Il contratto in esame, permetteva la trasformazione dell’area concessa in godimento, con installazione di impianti funzionali ai servizi di telefonia mobile, garantendo, però, al detentore del bene installato, conservare la proprietà degli impianti, sia nel corso che alla cessazione del rapporto.
-Natura mobiliare o immobiliare degli impianti ripetitori per la telefonia mobile
L’art. 812 c.c. definisce beni immobili quelli che sono naturalmente o artificialmente incorporati al suolo, definendo i restanti beni mobili.
La vecchia norma codicistica, risalente al codice civile del 1865 parlava di “immobilizzazione” del bene, incentrandosi sulla concreta mobilità o meno della cosa.
Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in tema di edilizia (d.P.R. 380/2001), ricomprende tra gli “interventi di nuova costruzione” non solo le infrastrutture e gli impianti, sia privati che dei pubblici servizi, ma anche l’installazione di torri e tralicci per impianti di telecomunicazione. Il d.lgs. 259/2003 (convertito in l.164/2014) assimila alle opere di cui al testo unico succitato quelle effettuate “anche all’interno di edifici…pur restando di proprietà dei rispettivi operatori…”.
Il d.lgs. 33/2016, aggiungendo un periodo all’art. 86, comma 3 del d.lgs. 259/2003, come modificato dalla l. 164/2003, stabilisce che tali infrastrutture “non costituiscono unità immobiliari ai sensi dell’art. 2 del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale”.
-La qualificazione del contratto stipulato
Secondo la Suprema Corte, la convenzione, con la quale vi sia da una parte la concessione in godimento dell’area comune e dall’altra la previsione che il conduttore conservi la proprietà dell’impianto, può comunque qualificarsi come locazione, sempreché vi sia una clausola in deroga all’art. 1593 c.c., disciplinante le addizioni in materia locatizia.
Il giudice di legittimità, al fine dare il corretto inquadramento giuridico al negozio stipulato, esamina le caratteristiche del contratto di locazione partendo dai caratteri essenziali ex art. 1571 c.c., individuandoli nella concessione temporanea del godimento, da cui si possa trarre una seppur minima utilità, ed il corrispondente obbligo al pagamento del canone. Unanimemente si ritiene che l’utilità si possa avere anche se il conduttore non possa godere di tutte le utilità che la cosa può produrre, così rientrando nel contratto tipico di locazione.
“A questa conclusione si perviene in base alle norme di cui agli artt. 1575 e 1587 c.c., in virtù delle quali l’obbligo sinallagmatico di consegna del locatore risulta strumentale ad assicurare le utilità della cosa secondo la destinazione pattuita. Se è vero che nel diritto personale di godimento assicurato con la locazione si ha una cessione dell’esercizio delle facoltà d’uso, che normalmente ha natura assorbente e non lascia margini di godimento residuo al locatore, ciò non esclude che, in virtù di convenzione, il diritto del conduttore ed il corrispondente obbligo del locatore restino circoscritti all’uso limitato previsto in contratto[3].”
Per ciò che concerne la qualificazione del rapporto in oggetto come servitù prediale, risulta alquanto complicata.
Infatti, l’art. 1027 c.c. prevede che si abbiano due semplici quanto basilari caratteristiche: in primis vi devono essere due distinti fondi contigui (anche non materialmente) appartenenti a diversi proprietari, ed un fondo deve essere servente dell’altro, che sarà perciò dominante, e quindi che imponga un “peso” sul primo. Inoltre, radicando il ragionamento sin qui fatto alla tipologia contrattuale applicabile al caso in esame, la qualificazione come servitù non risolverebbe la questione riguardante la proprietà dell’impianto realizzato, relativamente al principio di accessione. Ulteriormente, la costituzione di un diritto di servitù su parte condominiale presupporrebbe la volontà unanime di tutti i condomini, non essendo sufficiente nemmeno l’accettazione di una clausola inserita nel regolamento condominiale di natura contrattuale; al contrario, la servitù può essere costituita tramite il suddetto regolamento se i due fondi siano di proprietà di due condomini, con consenso unanime, ma non riconoscere la servitù in favore di un terzo con efficacia costitutiva.
È lo stesso articolo 1139 c.c. che, operando un rinvio all’articolo 1108 c.c., c. 2, in tema di comunione ordinaria, stabilisce che perché vi possano essere dei validi atti costitutivi di diritti reali sulle parti condominiali è necessario il consenso unanime di tutti i condomini[4]. Anche in seguito alla riforma del 2012, e l’entrata in vigore del numero 2 del comma secondo dell’art. 1120 c.c., che prevede maggioranza agevolata per l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, si ritiene non vi sia deroga alcuna all’art. 1108 c.c..
– La deroga all’art. 1593 c.c.
L’articolo 934 c.c., con riferimento alle addizioni in tema di locazione, ex art. 1593 c.c., sancisce che lo ius tollendi sia quasi sempre la regola, se non arrechi nocumento alla cosa e se non vi siano pattuizioni in senso contrario contenute nel titolo. Tali accordi negoziali, secondo la Cassazione, riferendosi a trasferimenti di proprietà immobiliari devono necessariamente avere forma scritta ad substantiam, e si traducono sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie[5].
La clausola contrattuale che autorizza il conduttore, ex art. 1593 c.c., ad eseguire opere qualificabili come miglioramenti o accessioni, ha un duplice fine: far nascere un diritto all’indennizzo ed escludere lo ius tollendi anche con riguardo alle addizioni separabili senza nocumento per il bene. Dunque, il diritto di proprietà su tali costruzioni, alla cessazione del contratto, viene acquisito immediatamente dal locatore[6].
Ora, proprio perché il principio dell’accessione non è assoluto, ma al contrario è rimesso alla legge ed al titolo:
“La deroga al principio dell’accessione ex art. 934 c.c. risultante dal “titolo” può, in sostanza, essere costituita anche da un contratto di locazione … ponendo a carico del conduttore soltanto l’obbligo della rimessione in pristino alla fine del rapporto[7]”.
Dunque, “risulterebbe che l’art. 1593 c.c. costituisce una disciplina speciale rispetto agli artt. 934 e 936 c.c., seppur non nel senso di negare l’acquisto immediato della proprietà dell’addizione in capo al proprietario del fondo locato, ma soltanto nel senso di attribuire al conduttore lo ius tollendi delle addizioni separabili senza nocumento, esercitabile alla fine dalla locazione. È tuttavia ammissibile che il contratto di locazione regolamenti convenzionalmente il regime delle addizioni, introducendo una più radicale deroga al principio dell’accessione, rispetto a quella già stabilita dall’art. 1593 c.c., in maniera che le costruzioni realizzare dal conduttore nel corso del rapporto non siano mai acquistate in proprietà dal locatore”
D’altra parte anche gli stessi articoli del codice civile che regolamentano la materia 1592 e 1593, autorizzano il conduttore ad eseguire miglioramenti ed accessioni, al fine di consentire comunque al locatore di essere indennizzato ed escludere lo jus tollendi.
Ne deriva in capo al conduttore solo un diritto di credito non anche un diritto di proprietà automatico sulle future costruzioni.
Pertanto, il “titolo” ex art. 934 c.c., da cui eventualmente può derivare l’esclusione del principio “superficies solo cedit”, non costituisce concessione con effetti obbligatori, bensì reali; in tal modo sarà opponibile ai terzi, ed anche a coloro che subentrano nel diritto di proprietà, esclusivamente nel caso in cui vi sia trascrizione idonea.
Facendo applicazione dei principi sopra indicati al caso concreto esaminato dalla Corte, quest’ultima ha escluso che possa derivare l’imposizione di una servitù su una parte condominiale senza il consenso unanime di tutti[8]; né tale consenso potrebbe ricavarsi per effetto di una clausola apposta in un regolamento contrattuale di condominio che riconosca la servitù, potendo quest’ultimo costituire il diritto solo nei confronti dei condomini che vi prestino consenso all’unanimità e non del relato.
Proprio per questo il Collegio ha inteso rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione a Sezioni Unite, al fine di chiarire se il consenso di tutti i comunisti così come previsto dall’articolo 1108 comma 3^ c.c., sia necessario anche per l’approvazione del contratto di locazione con il quale uno solo conceda a terzi il godimento dell’area comune, riservando poi a quest’ultimo il diritto di mantenere la proprietà dei manufatti realizzati al termine del contratto.
[1] Corte di Cassazione, sez. 2, 22.03.2001 n.4131;
[2] Corte di Cassazione, SS.UU., 04.07.2012, n.11135;
[3] Corte di Cassazione, sez.3, 03.12.2002 n.17156;
[4] Corte di Cassazione, sez.2, 30.03.1993 n.3865;
[5] Corte di Cassazione, sez. 1, 15.12.1966 n.2946;
[6] Corte di Cassazione, SS.UU., 26.07.1971 n.2486;
[7] Corte di Cassazione, sez.1, 05.03.1986 n.1418;
[8] Cass., civ. sez. 2^ 30.3.1993 n.3865