L’amministratore di condominio revocato alla prima scadenza senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno?
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, ord., 19.03.2021, n. 7874 – Pres. Di Virgilio – Rel. Scarpa
Condominio – Amministrazione di condominio – Revoca – Risarcimento danni – Compenso – Giusta causa.
(art. 1129 c.c., art. 1725 c.c., art. 2237 c.c.)
[1] L’amministratore di condominio, in ipotesi di revoca deliberata dall’assemblea prima della scadenza del termine previsto nell’atto di nomina, ha diritto, oltre al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, altresì al risarcimento dei danni, in applicazione dell’art. 1725, comma 1, c.c., salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico.
CASO
La pronuncia in commento trae origine dalla sentenza con cui il Tribunale di Palermo aveva parzialmente accolto il gravame proposto dall’appellante contro la sentenza del Giudice di Pace di Palermo, che aveva negato che spettasse all’amministratore di condominio, ingiustamente revocato, prima della scadenza dell’incarico, sia il saldo del compenso, sia il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della revoca prima della scadenza del termine.
Il Tribunale, in grado di appello, modificando parzialmente la decisione di primo grado, ha riconosciuto all’amministratore il diritto al saldo del compenso fino all’esaurimento del rapporto ma non anche il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1725 c.c., sostenendo che tale norma fosse inapplicabile al recesso in materia di prestazioni intellettuali, a cui si applica invece il disposto dell’art. 2237 c.c., il quale si limita a prevedere il solo diritto al compenso per il prestatore d’opera intellettuale.
L’amministratore ha fatto ricorso in cassazione, affidato ad un unico motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2237 c.c. e 1725 c.c., in relazione all’art. 1129 c.c., sostenendo che al rapporto tra amministratore e condominio non possa applicarsi l’art. 2237 c.c., norma attinente al contratto di opera intellettuale, ma piuttosto l’art. 1725 c.c. dettato in tema di contratto di mandato.
SOLUZIONE
Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione dà una soluzione al dibattito dottrinario e giurisprudenziale relativo alla figura del contratto di amministratore di condominio, qualificandolo come contratto tipico, dotato di una propria disciplina specifica, rinvenibile negli artt. 1129-1131 c.c., dunque diverso dal contratto di prestazione d’opra intellettuale, e rispetto al quale il ricorso alla disciplina relativa al mandato ha carattere residuale.
QUESTIONI
La Suprema Corte ha accolto la censura mossa dall’amministratore di condominio, rilevando che il giudice di merito aveva erroneamente ricondotto il rapporto tra l’amministratore e il condominio al contratto d’opera intellettuale, applicando di conseguenza la norma che regola il recesso del cliente.
L’attività dell’amministratore di condominio, invece, non costituisce una professione intellettuale e non è (come richiesto dall’art. 2229 c.c.) subordinata all’iscrizione in appositi albi o elenchi, quanto al possesso di determinati requisisti di professionalità ed onorabilità, introdotti dalla legge n. 220/2012, rientrando piuttosto nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14.01.2013, n. 4.
Quindi, il fatto che la legge n. 220 del 2012 abbia previsto per l’esercizio della funzione di amministratore di condominio i requisiti di professionalità ed onorabilità non è sufficiente a qualificare detta attività come professione intellettuale.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il contratto di amministratore di condominio è assimilabile al contratto di mandato, più specificamente un mandato con rappresentanza (art. 1704 cc), pur differenziandosi da questo per l’obbligatorietà della sua costituzione, nonché per il contenuto e gli effetti.
Proprio per questi motivi, si parla, generalmente, di mandato ex lege, in quanto l’origine, il contenuto e gli effetti sono predeterminati dalla legge, mentre la deliberazione assembleare ha lo scopo di individuare la persona fisica o giuridica alla quale attribuire le relative funzioni. Questa conclusione è stata confermata dalla legge n. 220/2012 di riforma del condominio che, modificando l’art. 1129 c.c. in tema di obblighi dell’amministratore, ha operato un generale rinvio alle disposizioni sul contratto di mandato.
Tra queste norme meritano particolare attenzione quelle che regolano i fatti estintivi del rapporto tra mandante (condominio) e mandatario (amministratore) ai sensi degli artt. 1722 ss. cc., ossia il recesso che può avvenire o da parte del primo (c.d. revoca) oppure del secondo (c.d. rinuncia).
In base a quanto disposto dall’art. 1129, 2° co., c.c. (nel testo vigente all’epoca della revoca dell’amministratore de quo) l’incarico dell’amministratore di condominio ha durata di un anno e può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea.
Cosa accade, dunque, se l’assemblea condominiale decide di revocare l’amministratore prima del termine?
L’assemblea ex art. 1129, co. 11, c.c. può decidere in qualsiasi momento, senza particolari formule e senza motivazioni, di revocare l’amministratore, pur in assenza di giusta causa, purché a deliberarlo sia la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno la metà del valore millesimale dell’edificio, ossia la stessa maggioranza necessaria per la nomina.
Tuttavia l’art. 1129, co. 11, c.c. non disciplina le conseguenze della revoca ad nutum, cioè libera, dell’amministratore prima della scadenza del termine.
Occorre, pertanto, secondo quanto previsto dall’art. 1129 co. 15 c.c., che rinvia alle disposizioni di cui alla sezione I del capo IX, del titolo III del libro IV del codice civile, ricorrere alle norme in tema di mandato, e più precisamente di revoca del mandato (art. 1725 c.c.).
Si è detto, infatti, che il contratto che si instaura tra amministratore e condominio è un contratto di mandato oneroso: l’amministratore si impegna, cioè, a svolgere delle attività in nome e per conto del condominio per un determinato periodo di tempo, dietro compenso.
In applicazione dell’articolo 1725 c.c. la revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se avviene prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa.
Sul punto si erano già espresse, sia pure incidentalmente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con pronuncia 20957/2004, evidenziando come nel caso dell’amministratore di condominio il mandato si presuma oneroso e sia conferito per un tempo determinato.
Di conseguenza, avevano affermato che in tale ipotesi il recesso operato dal mandante prima della scadenza del termine comporta il sorgere di una responsabilità contrattuale e dunque la nascita di un’obbligazione risarcitoria a carico del recedente (il condominio), laddove il recesso (e quindi la revoca del mandato) non si fondi su una giusta causa.
Pertanto, l’amministratore revocato senza giusta causa, ai sensi dell’articolo 1725 c.c., oltre ad avere diritto al compenso maturato, potrà agire in via ordinaria per pretendere il risarcimento del danno subìto a causa della revoca ingiustificata, danno la cui prova incombe naturalmente sull’amministratore medesimo.
L’ordinanza in commento non si sofferma sulla quantificazione dei danni, limitandosi ad affermare che l’amministratore revocato ha diritto al “soddisfacimento dei propri eventuali crediti”.
Si pone, pertanto, il quesito se il c.d. “lucro cessante” (mancato guadagno) sia quantificabile nell’intero compenso a cui avrebbe avuto diritto l’amministratore, fino alla scadenza dell’incarico annuale.
Sul punto, gli Ermellini, con l’ordinanza che si annota, riprendono l’insegnamento della Corte di Cassazione SS.UU. n. 20957/2004 che ha affermato che, nelle ipotesi di revoca anticipata senza una giusta causa, l’amministratore ha diritto di ricevere il compenso per l’intero periodo del rapporto inizialmente pattuito, quindi anche gli emolumenti dovuti per la restante durata del mandato, anche se questo non verrà esplicato.
Solo la ricorrenza di una giusta causa, che la Suprema Corte identifica in quelle che potrebbero giustificare la revoca giudiziale dell’incarico (cioè quei casi nei quali si ritiene che la condotta dell’amministratore sia tale da minare in maniera irreparabile il rapporto di fiducia con la compagine condominiale), può esonerare il recedente/condominio dall’obbligo risarcitorio nei confronti dell’amministratore.
Tale obbligazione risarcitoria, invece, non sussiste laddove il rapporto tra amministratore e condominio venisse ricondotto nell’ambito dell’art. 2237 c.c., in tema di recesso del cliente dal contratto di prestazione d’opera intellettuale, secondo cui il cliente “può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta“. Ma tale ipotesi è stata esclusa dalla Suprema Corte.
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