10 Marzo 2020

L’evoluzione della professione forense: l’avvocato passa da individualista al lavoro in team

di Mario Alberto Catarozzo - Coach, Formatore, Consulente – CEO di MYPlace Communications Scarica in PDF

Solitario, individualista, geloso del proprio sapere. Questa era la sintesi estrema dell’avvocato-tipo fino allo scorso decennio. È ancora attuale? E soprattutto, lo sarà ancora in futuro? Tutto fa pensare di no. L’avvocato sta diventando giorno dopo giorno sempre più connesso, social, comunicativo, manager. L’avvocato che aspetta i clienti in studio e tantomeno i prospect, è un lontano ricordo.

IL “CONTRATTO SOCIALE” DELL’AVVOCATO

Oggi il professionista forense è moto più dinamico, operativo su più fronti e molto più orientato al lavoro in team. Già, perché lavorare in team attua il principio per cui l’unione fa la forza. Ma come ci ricorda il “contratto sociale” di Rousseau, per unirsi ad altri socialmente (e qui possiamo dire lavorativamente) bisogna rinunciare qualcosa, che in questo caso sarà la totale autonomia a vantaggio della squadra. Questo è un concetto che stenta ad entrare in testa all’avvocato. Infatti, moti vorrebbero “capra e cavoli”, come si suo dire. Molti, cioè, vorrebbero poter avvalersi dei vantaggi del lavoro in team senza rinunciare alle necessarie conseguenze, prima fra tutte che bisogna imparare a rispettare le diversità e opinioni altrui, bisogna sapersi coordinare con colleghi e collaboratori e bisogna saper gestire e relazioni e i conflitti. Per tutto questo occorrono competenze manageriali ad hoc, qualcosa che ad oggi non viene insegnato nelle università e che sta creando non pochi problemi alla vita delle nuove organizzazioni di studio che stanno nascendo.

Come può essere intuito facilmente, non può funzionare mettere in piedi nuove strutture di studio articolate sullo stile aziendale mantenendo la mentalità da “libero battitore” che molti avvocati italiani continuano ad avere.

UNA NUOVA MENTALITA’

Il primo passo verso una nuova generazione di professionisti legali è quindi lavorare sulla mentalità e poi sull’organizzazione. La prima è la condizione per poi realizzare la seconda. Lavorare in team non è un optional per il futuro, ma è la dimensione che la stessa professione assumerà: organizzazioni strutturate con professionisti e staff, più sedi, collaboratori in rete, queste saranno i punti cardine dell’organizzazione della professione. Molti pensano che ciò valga soprattutto per gli studi di grandi dimensioni, internazionali, nelle grandi città. Ma non è così. La dimensione imprenditoriale della professione sarà da qui a qualche anno lo standard. Ci potranno essere studi di provincia con due-tre professionisti e alcuni membri dello staff come office manager, responsabili mktg e comunicazione, manager dedicati al business development dello studio.

La mentalità dell’avvocato dovrà trasformarsi da professionista inteso come tecnico del diritto, dispensatore di soluzioni a professionista-imprenditore, dedito alla gestione della consulenza per i clienti. In questa secondo caso l’avvocato deve prima di tutto progettare interventi, definire obiettivi, coinvolgere persone interne allo studio e che lavorano in rete con lui per la gestione di singole parti o aspetti del procedimento di consulenza. La sua capacità manageriale, quindi di progettazione, coordinamento e cura delle performance sarà determinante. So che a molti legali questo discorso appare lontano dalle proprie abitudini, addirittura opposto a ciò in cui credono e sono stati abituati a vedere e poi a fare. La verità è che i servizi legali stanno diventando, salvo alcune eccezioni, come il diritto penale e poco altro, come altri servizi consulenziali, che quindi vanno acquistati dalle aziende da parte dell’ufficio acquisti, che vanno gestiti con procedure di gare e di confronto, che vanno pesati sulla base di diversi parametri, tra cui il pricing.

NUOVE COMPETENZE

In questo nuovo scenario, che non è così lontano in termini di timing, si rende necessario per lo studio legale organizzarsi in modo performante con approccio manageriale. Partendo dalle cose semplici e premesso che la qualità del servizio e la serietà devono essere deontologicamente alla base, lo studio comincerà a differenziare i suoi clienti in base alla tipologia di richieste, alla tipologia di clientela e al pricing praticato.

TIPOLOGIA DI CONSULENZA

Quanto al primo aspetto – tipologia di richieste – uno studio legale ben organizzato, con mentalità business oriented saprà gestire le richieste di consulenza legale con approccio manageriale, per cui prima si dedicherà all’analisi del caso, poi si deciderà chi nelle varie fasi di gestione se ne occuperà nell’ottica di ottimizzare le risorse e razionalizzare le attività; infine si valuteranno le priorità di intervento e le modalità di efficienti ed efficaci. La mentalità del “one man show” dove l’avvocato era sempre e comunque al centro di tutto non funzionerà più. Le ragioni sono molteplici: la singola persone non può gestire efficacemente grandi carichi di lavoro, perché tenderà ad allungare i tempi, ad andare sotto stress a detrimento del rendimento e della capacità relazionale, a perdere pezzi a discapito della qualità della consulenza e della sua efficacia. Inoltre il costo orario del titolare di studio sarà molto più alto (ragionevolmente) dei suoi collaboratori, magari junior, e del suo staff. Pertanto sarebbe solo una perdita di tempo mal speso applicarsi a tutto in prima persona: ci saranno attività che lo richiedono e attività che invece non lo necessitano, dove il risultato può essere egregiamente raggiunto dall’attività di un collaboratore. Ciò non vuol dire delegare tutta la procedura al collaboratore, ma imparare a segmentare in fasi e step il lavoro delegando ciascuna parte a chi può farlo in modo più efficiente, quindi con un balance di risultati e risorse impiegate.

TIPOLOGIA DI CLIENTELA

Quanto al secondo aspetto – tipologia di clientela – non penso che si possa erogare una consulenza efficace ed efficiente di tipo “flat”, cioè uguale per tutti, lineare. Il cliente business, quindi l’azienda, richiede tempi di reazione diversi dal cliente privato. L’azienda necessita di interloquire con consulenti legali che conoscano il linguaggio aziendale, conoscano le dinamiche interne dell’azienda e i tempi decisionali della stessa. Il consulente legale viene vissuto come parte integrante del processo decisionale interno, per cui si deve adeguare ai suoi tempi, altrimenti verrà saltato perché considerato un fattore di rallentamento. Questo almeno per chi auspica ad una consulenza preventiva, quindi gli avvocati d’affari. Se invece continuate a lavorare sulla patologia, allora le cose cambiano in parte. Certo è che poi non ci si può lamentare che i clienti paghino tardi, non contenti e che i tempi della giustizia sono infiniti. La giustizia d’aula sappiamo che tempi e lacune ha e sappiamo che oggi come oggi sempre meno il cliente è contento di andare in contenzioso, che considera l’ultima spiaggia, proprio perché consapevole delle difficolta che si incontrano. Pertanto chi vuole fare consulenza deve adeguarsi al linguaggio, tempi e modalità dei clienti e questo non è possibile lavorando da soli. Ci vuole un team anche in questo caso, affiatato e pronto ad un nuovo tipo di relazione con il cliente.

PRICING

Quanto al terzo aspetto – pricing praticato – dobbiamo uscire dalle solite dichiarazioni di principio per cui lavoriamo allo stesso modo per tutti i clienti. Ciò non è vero e non dovrebbe in effetti esserlo. Il punto di partenza è che si deve offrire un servizio di qualità a chiunque, bisogna offrire una consulenza dedicata e seria e dare il massimo. Su questo nulla questio. È il passo dopo che deve cambiare. Così come se viaggiate in treno avrete un certo tipo di servizio se prendete la standard, la business o l’executive, così dovreste prevedere concettualmente per i clienti di studio. Se andate in un hotel e avete preso la suite vi riserveranno più attenzioni e tempo che per la standard; se acquistate un’auto, avrete in proporzione a ciò che siete disposti a spendere. Ebbene vale lo stesso per la consulenza legale, dove chi paga di più ci sta che abbia maggiori attenzioni, tempo e servizi. Non vuol dire che chi paga meno non ne ha, vuol dire che esiste una proporzione. Se dovete essere operati e volete la stanza con un solo letto pagate l’equivalente. Ciò non vuol dire che se scegliete il piano standard il chirurgo non vi opera bene: vuol dire che intorno avrete una serie di servizi che in altri casi non ci sono. Questo è normale nel mondo business, perché non dovrebbe esserlo per gli avvocati? Non fanno parte anche loro del mondo business?

Fuori dunque da abitudini decennali, da convinzioni radicate e posizioni di principio, è utile oggi che la professione forense e i suoi operatori prendano atto dei cambiamenti epocali e delle nuove esigenze e nuove richieste dei loro clienti per adeguarsi e sviluppare, sempre con qualità, serietà e deontologia, soluzioni all’avanguardia, che permetteranno alla categoria di sopravvivere e agli avvocati di ritornare ad avere quelle soddisfazioni professionali che troppo spesso negli ultimi anni sono mancate.