18 Giugno 2024

Natura non aleatoria del contratto d’appalto

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 06/05/2024, n. 12115 – Rel. Dott. Giuseppe Grasso

Appalto privato – contratto commutativo e contratto aleatorio – interpretazione del contratto – art. 1655 c.c.

Massima:Poiché il contratto d’appalto prevede la prestazione di un’opera, con organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio, verso il pagamento di un corrispettivo, ove non consti dalle emergenze di causa che le parti abbiano inteso stipulare, nonostante l’uso del nomen iuris dell’appalto, un contratto atipico aleatorio, l’espressione che potrebbe avere più sensi deve essere interpretata nel senso che all’appaltatore non può essere negato il diritto al corrispettivo ove abbia adempiuto alla propria obbligazione”.

CASO

La società Alfa, cui erano stati appaltati lavori di ristrutturazione edile da Tizio, adducendo il ritardo nel pagamento del saldo dei lavori effettuati, otteneva ingiunzione di pagamento. L’opposizione proposta da Tizio veniva rigettata dal Tribunale.

La Corte d’appello, invece, riformava integralmente la sentenza di primo grado e, accolta l’impugnazione di Tizio, revocava il decreto ingiuntivo.

La Corte d’appello riteneva infatti fondata l’eccezione di inesigibilità del credito azionato dall’appaltatrice, per effetto della clausola contrattuale a mente della quale i pagamenti del corrispettivo erano subordinati all’emissione dei SAL nei tempi e nelle modalità previste da parte della Banca Beta. Il pagamento dei singoli stati di avanzamento (tre in tutto), secondo la Corte d’appello era infatti da reputarsi condizionato all’erogazione di finanziamento bancario. La detta clausola non poteva inoltre giudicarsi affetta da nullità, poiché non era qualificabile come meramente potestativa, bensì era una condizione sospensiva mista correlata al compimento di un’attività da parte di un terzo. Non poteva nemmeno invocarsi l’art. 1359 c.c., non essendo stato in alcun modo provato che il mancato avveramento della condizione fosse dipeso dal comportamento doloso o colposo di Tizio, che avrebbe mancato di collaborare secondo buona fede con l’istituto di credito.

Alfa propone ricorso in Cassazione, mentre  Tizio resiste con controricorso.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

QUESTIONI

La vicenda sottesa alla sentenza in esame offre la possibilità di indagare alcune caratteristiche del contratto d’appalto, spesso dimenticate.

Vale quindi la pena procedere con ordine richiamando l’attenzione su alcuni punti della decisione per approfondirne le implicazioni.

Alfa lamenta che la clausola contrattuale che qui viene in rilievo (o meglio l’interpretazione che ne dà la Corte d’appello) sarebbe incompatibile con la causa del negozio di appalto e di conseguenza sarebbe manifestamente illecita e non meritevole di tutela. Secondo Alfa, la volontà delle parti non era infatti quella di condizionare il pagamento degli stati di avanzamento lavori all’effettiva erogazione del mutuo bancario, ma piuttosto quella di individuare nel momento della presentazione dei Sal alla banca il tempo in cui il relativo credito sarebbe divenuto esigibile da parte dell’appaltatrice, a prescindere poi dall’effettiva erogazione delle somme richieste.

Secondo la S.C. il motivo è fondato. Per il Collegio, infatti, il contratto d’appalto ha come sinallagma la prestazione di un’opera, con organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio, verso il pagamento di un corrispettivo e la causa del contratto non ha natura aleatoria; il che vuol dire che l’appaltatore presta la sua opera imprenditoriale dietro corrispettivo certo, quale che sia il criterio contrattuale di misurazione di esso (a corpo o a misura).

Su questo aspetto occorre soffermarsi. È nota ai più la distinzione tra contratto aleatorio o di sorte – che si ha quando la determinazione di quella che sarà la prestazione dipende da un fattore di incertezza – e contratto commutativo – nel quale la valutazione del rispettivo sacrificio o vantaggio può essere effettuata invece all’atto della conclusione del contratto –. Ed è altresì nozione comune quella per cui i contratti possono essere aleatori “per loro natura” o “per volontà delle parti” (cfr. art. 1469 c.c.) e cioè essere essenzialmente aleatori oppure divenire tali in forza di una specifica pattuizione delle parti che intendano attribuire al contratto una misura di incertezza.

Per la S.C. non v’è dubbio che l’appalto sia un contratto commutativo. Nel dire questo il Collegio esplicita un principio pressoché granitico che trova una sua giustificazione nel fatto che il corrispettivo dovuto all’appaltatore rimane quello fissato al momento della conclusione del contratto, qualunque risulti essere in concreto il costo effettivo dell’opera o del servizio eseguito. L’appaltatore, cioè, potrà perdere o guadagnare nell’affare, a seconda che il detto costo superi o no il corrispettivo pattuito, ma il rischio che con ciò assume non è quello tecnico-giuridico (relativo cioè al caso fortuito) bensì quello economico, che deriva dall’impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi che dovranno essere affrontati. In altri termini, l’appalto presenta un’alea normale che si identifica con il rischio d’impresa, ma non mutando il carattere oggettivo delle prestazioni, non muta il rapporto fra le stesse instauratosi alla conclusione del contratto, mentre ciò che può cambiare è il costo o il valore di una delle prestazioni rispetto alla controprestazione in base a quanto preventivato in origine. Quello che la legge accolla all’appaltatore non è perciò un’alea in senso tecnico, bensì un rischio che lo stesso appaltatore può e deve, con la sua capacità professionale, calcolare preventivamente e quindi prevenire, organizzando la gestione dell’appalto in modo che il corrispettivo pattuito risulti per lui remunerativo.

Nella decisione in commento, la Corte però va oltre e chiarisce che l’appalto non può divenire aleatorio nemmeno per volontà delle parti, perché diversamente verrebbe snaturata la causa e la natura stessa del contratto: ove fosse prevista una pattuizione atta a rendere il contratto aleatorio, si sarebbe al cospetto di un contratto atipico, simile ma diverso nella sostanza dall’appalto. Nel dire ciò la S.C. si allinea a un’opinione ben radicata in dottrina da tempo, ma che non aveva avuto altrettanto successo in giurisprudenza, che era ferma nell’ammettere la possibilità di rendere aleatorio un contratto d’appalto senza con ciò alterarne la natura, prevedendo lo scambio tra una prestazione certa e una controprestazione incerta, determinabile solo successivamente al verificarsi di un evento futuro (v. per tutte Cass. 9.11.1973, n. 2506): il contratto d’appalto, si sosteneva, sarebbe stato cioè naturalmente ma non essenzialmente commutativo e, dunque, sempre che fosse possibile ravvisare la presenza della causa tipica del contratto (che nell’appalto è il compimento dell’opera o del servizio a fronte di un corrispettivo), non sarebbe stato corretto ritenere innominato il contratto per la sola difformità di alcune clausole con la normativa codicistica (così Cass. 6.3.1951, n. 552).

Ma nella decisione in commento, come dicevamo, la S.C. afferma un principio contrario e dichiara la natura essenzialmente commutativa del contratto d’appalto, ponendo con ciò l’interprete di fronte ad una alternativa, perché delle due l’una: o il contratto è un appalto e allora non vi è spazio per clausole atte a renderlo aleatorio, oppure si è di fronte a un contratto atipico, solo simile all’appalto, nel cui ambito possono avere una ragione d’essere le dette clausole. Ma in tal caso e qui sta il punto, continua la Corte, la volontà delle parti di stipulare un contratto innominato deve essere inequivocabile e non lasciare spazio a dubbi; tale volontà cioè, per usare le parole del Collegio,  “deve stagliarsi nitidamente”.

Precisato questo in punto di diritto, la Corte procede dunque con l’esame della clausola contrattuale che veniva in rilievo nel caso di specie (” il piano dei pagamenti dello specifico corrispettivo è subordinato all’emissione SAL nei tempi e nelle modalità previste da parte della Banca Beta”) e ne misura la tenuta alla luce della regola ermeneutica di cui all’art.1369 c.c. e in forza della quale le espressioni polisense nel dubbio debbono essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.

Il “senso più conveniente alla natura del contratto” generalmente è ritenuto vada individuato avendo riguardo alla causa (intesa come la ragione concreta) del contratto e, la Corte, in applicazione di questo principio, riprendendo le proprie considerazioni in ordine alla causa del contratto d’appalto e alla sua natura essenzialmente commutativa, censura la Corte d’appello per non avere spiegato la ragione per la quale in un “normale” contratto d’appalto quella espressione, piuttosto che stabilire una tempistica dei pagamenti o degli stati di avanzamento dei lavori collegandoli all’acquisizione della liquidità da parte del committente, è stata riportata nell’alveo della condizione sospensiva mista, con la conseguenza di rendere aleatorio il corrispettivo, in quanto dipendente dal finanziamento bancario (in favore del committente) rimesso al nudo volere dell’istituto di credito (con la conseguenza tra l’altro che il corrispettivo avrebbe potuto anche mai essere corrisposto).

Il S.C. tiene a precisare che l’interpretazione del contratto è sicuramente rimessa all’apprezzamento incensurabile di merito. Tuttavia, qualora il ricorrente individui puntualmente i canoni ermeneutici violati, specificando in qual modo e con quali apprezzamenti il giudice di merito si sarebbe discostato dal criterio ermeneutico, il vizio può essere denunciato anche in sede di legittimità, non vertendosi in questo caso in ipotesi di mera apodittica contrapposizione all’interpretazione del giudice (principio pacifico: Cass. n. 2050/2024, Cass. n. 2988/2013, Cass. n. 18587/2012, Cass. n. 15381/2004, Cass. n. 13839/2004, Cass. n. 13579/2004, Cass. n. 5359/2004, Cass. n. 753/2004). Ed è pertanto in forza anche di tale assunto che il Collegio giunge a ritenere la decisione d’appello viziata e, in conseguenza di ciò, la cassa e rinvia la causa al giudice del merito, invitandolo ad esprimersi attenendosi al principio espresso in massima.

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