17 Settembre 2024

La fonte del risarcimento dei danni del conduttore è nel contratto e non nell’articolo 2051 c.c.

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, Ordinanza del 20.02.2024 n. 4578, Pres. R. G. A. Frasca, Est. S. Tassone

Massima : “In tema di locazione, il diritto al risarcimento dei danni patiti dal conduttore della cosa locata trova la sua fonte nel contratto e nell’art. 1581 c.c., che richiama l’art. 1578 c.c. (vizi della cosa locata), e non nell’art. 2051 c.c., il quale si applica nella sola ipotesi di danni arrecati a terzi estranei al rapporto di locazione”.

CASO

Tizio, titolare dell’omonima ditta individuale, stipulava un contratto di locazione ad uso commerciale con Alfa avente ad oggetto un locale sito all’interno di un centro agroalimentare.

Il conduttore conveniva la locatrice in giudizio avanti al Tribunale di Catanzaro poiché dichiarava di avere subito danni conseguenti alle infiltrazioni verificatesi nel locale suddetto, ed in particolare il danneggiamento della cella frigorifera collocata nello stand e di tre pedane di mele e pere, poi mandate al macero, chiedendo, quindi, il risarcimento dei danni subiti.

Alfa costituendosi chiedeva la chiamata in causa della propria compagnia assicurativa la quale, comparendo in giudizio, eccepiva preliminarmente la violazione del patto di gestione della lite e nel merito chiedeva il rigetto della domanda attorea.

Il Tribunale decideva con sentenza che non vi fosse prova che il conduttore avesse dato notizia alla locatrice della sopravvenuta inidoneità dello stato dei luoghi, rigettando, pertanto, tutte le domande proposte dall’attore e compensando integralmente le spese di lite tra le parti.

Proposto appello da parte di Tizio, la Corte territoriale di Catanzaro riformava la sentenza di primo grado, condannando Alfa al risarcimento dei danni in favore di Tizio, compensava per un terzo le spese del doppio grado di giudizio e condannava Alfa a rimborsare a Tizio la restante quota di due terzi, mentre compensava le spese quanto alla compagnia assicurativa rimasta contumace in questo grado di giudizio.

Alfa, di conseguenza, proponeva ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, mentre Tizio si difendeva con controricorso e l’Assicurazione non svolgeva alcuna attività difensiva.

SOLUZIONE

La Corte di cassazione rigettava il ricorso condannando la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo motivo Alfa denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. dolendosi di come il giudice del gravame avesse erroneamente interpretato la norma in merito ai poteri/doveri di controllo, vigilanza e custodia in capo al locatore, sia ritenendo indistintamente che qualunque conduttore fosse da ritenere terzo agli effetti dell’art. 2051 c.c. e del relativo obbligo risarcitorio.

Il codice civile all’art. 2051 c.c. disciplina la responsabilità del custode per il danno cagionato dalle cose custodite. Ai fini della configurabilità di tale responsabilità è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere dovere di intervento su di essa e che compete al proprietario o anche al possessore detentore.

La stessa giurisprudenza di legittimità ritiene come la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all’evento lesivo, sicché, al proprietario dell’immobile locato, sono riconducibili i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione[1].

Poiché, quindi, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., occorre la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa; pertanto, il proprietario dell’immobile locato, conservando la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da tali strutture e impianti, mentre grava, invece, unicamente sul conduttore la responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui egli acquista la disponibilità, con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi a terzi[2].

Al contrario, nel caso in cui nella diversa ipotesi di danni patiti dal conduttore della cosa locata, il diritto al risarcimento sussiste su base contrattuale e discende dall’art. 1581 c.c., che richiama l’art. 1578 c.c., in quanto il danno deriva da un vizio della cosa locata. Detto articolo, infatti, stabilisce che il conduttore può domandare o la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo a seconda della gravità o meno dei vizi indipendentemente dalla buona o malafede del locatore, poiché essi prescindono dal comportamento soggettivo e si riferiscono ad uno stato di fatto oggettivo.

E’ bene specificare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituiscono vizi della cosa locata ai sensi e per gli effetti del succitato articolo – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1575 c.c., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneità all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l’esperibilità dell’azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione. Pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art. 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale[3].

Alla luce di quanto detto, i giudici di Piazza Cavour quindi evidenziavano come la Corte d’Appello avesse errato nella propria motivazione non avendo correttamente applicato tali principi di diritto giacché nella fattispecie per cui era causa si trattava di un rapporto contrattuale tra conduttore e locatore, in assenza di danni a terzi. A tal proposito, il diritto del conduttore di essere risarcito e la correlata responsabilità del locatore in merito al danno che derivi da un vizio della cosa locata che ne comporti il mancato condimento si fondano su base contrattuale.

Ad ogni modo, nonostante l’errata applicazione dell’art. 2051 c.c., la sentenza non veniva ritenuta suscettibile di cassazione, procedendosi bensì, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., alla correzione della motivazione applicando invece gli artt. 1578, comma 2, e 1581 c.c..

Con la seconda doglianza la società locatrice denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. asserendo che la Corte territoriale non avesse tenuto conto la sussistenza di responsabilità in capo al conduttore dovuta al negligente utilizzo del locale in quanto solo questi sarebbe stato a conoscenza delle infiltrazioni d’acqua presenti.

La Cassazione evidenziava, al contrario, come i giudici d’appello avessero ravvisato un concorso di responsabilità del conduttore applicando l’art. 1577 c.c., ai sensi del quale quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore, commisurando quindi il danno in relazione alle responsabilità di entrambe le parti.

La terza doglianza verteva sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. giacché secondo Alfa la Corte d’Appello non avrebbe preso atto delle risultanze istruttorie in base alle quali il preteso evento dannoso si era verificato, almeno nella sua eccezionale consistenza, per effetto dell’unicità e straordinarietà degli eventi atmosferici. Erano stati gli stessi testi di parte attrice ad evidenziare detta circostanza, invece del tutto sottovalutata dal giudice di appello e sottaciuta in sentenza.

Secondo i giudici di legittimità, invece, non solo il motivo era affetto da assoluta genericità ma la ricorrente ometteva di fornire l’indicazione specifica delle testimonianze che si evocano, non faceva riferimento al contenuto delle testimonianze evocate nell’esposizione del fatto nonché di specificare in che termini e dove quanto qui si ascrive alle non meglio specificate testimonianze in punto di eccezionale consistenza dell’evento atmosferico era stato prospettato al giudice di appello.

Il quarto motivo denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1577 c.c. sulla base di un’asserita trascuratezza da parte dei giudici circa il succitato obbligo di avviso da parte del conduttore, i quali ritenevano che la responsabilità ex art. 1576 c.c., da inadempimento del locatore all’obbligo di eseguire tutte le riparazioni necessarie a mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto, fosse una responsabilità concorrente con quella prevista e disciplinata dall’art. 2051 c.c..

Anche tale motivo, tuttavia, risultava del tutto generico. La Corte territoriale aveva in ogni caso tenuto conto e applicato il principio enunciato dall’art. 1577 c.c., mentre Alfa ometteva di specificare se, dove e quando, nell’intero contesto processuale, fosse stata trattata la questione dell’obbligo del conduttore di dare avviso al locatore di ogni fatto idoneo ad arrecare danno.

Con il quinto motivo Alfa denunciava la violazione e falsa applicazione dell’ art. 115 c.p.c., degli artt. 2721 e 2726 c.c., nonché degli artt. 1 e 3 d.p.r. n. 441/1997, lamentando l’apoditticità e l’illegittimità della sentenza in merito alla determinazione del quantum risarcitorio, dal momento che, la Corte d’Appello ammetteva solamente la prova testimoniale – e non anche una CTU -, da sola insufficiente a dimostrare l’entità del pregiudizio subito dal conduttore, il quale peraltro, aveva omesso di produrre qualsivoglia documentazione di acquisto, vendita, svendita, ovvero smaltimento della merce pretesamente deterioratasi.

Il motivo, tuttavia, per come esposto all’interno del ricorso finiva per “richiedere” una valutazione di merito alla Corte di legittimità quando invece la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, se non per il vizio di omissione dell’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, tale che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia[4].

Con il sesto motivo la ricorrente si doleva della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 253 c.p.c. poiché secondo Alfa i giudici di seconde cure avrebbero considerato i testi quali periti qualificati, attribuendo alle loro dichiarazioni, consistenti in mere valutazioni ed apprezzamenti, efficacia di prova del quantum del valore della merce deterioratasi a seguito delle infiltrazioni nonché della spesa effettuata da Tizio per la riparazione della cella frigorifera.

Stando alle dichiarazioni della ricorrente la Corte territoriale avrebbe violato l’interpretazione della Suprema Corte, secondo cui alla prova testimoniale è affidata la sola ricostruzione dei fatti di causa, e non anche gli apprezzamenti e le valutazioni richiedenti conoscenze tecniche o nozioni d’esperienza non rientranti nel notorio. Inoltre, sotto il profilo dei pretesi danni patiti dal conduttore per la riparazione della cella frigorifera danneggiata dalle infiltrazioni di acqua, la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente apparente ed illogica, avendo valorizzato la dichiarazione testimoniale di aver assistito alla redazione di un preventivo in termini di prova idonea dell’effettivo esborso della somma oggetto di un mero preventivo di spesa.

Anche in questo caso il motivo risultava inammissibile in quanto del tutto generico e riguardante questioni di merito non passibili di valutazione da parte dei giudici di legittimità.

[1] Cass. civ., Sent. n. 21788/2015.

[2] Cass. civ., Sent. n. 13881/2010.

[3] Cass. civ., Sent. n. 24459/2011.

[4] ex multis Cass. civ., Ord. n. 3119/2022.

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