Introduzione del reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” tra i reati presupposto della Responsabilità 231
di Alberto TencaAnna Di Lorenzo Scarica in PDF
La Legge 29 ottobre 2016, n. 199, entrata in vigore il 4.11.2016, rappresenta un nuovo emblematico esempio dell’incessante estensione dei reati presupposto della Responsabilità 231.
Il dato di esperienza nella produzione normativa, che dal 2001 ad oggi non ha conosciuto soluzione di continuità, induce ormai a ritenere consolidato nel nostro ordinamento un modus operandi del legislatore volto ad inserire nel testo del D.Lgs. 231/01 un reato, di nuova introduzione od oggetto di riforma alla luce del particolare allarme sociale che ingenera, estendendo ad esso la Responsabilità amministrativa degli enti quale principale strumento di contrasto.
Nel caso di specie, la Legge 199/2016 ha operato un intervento volto a rafforzare il contrasto al cosiddetto “caporalato”, modificando il testo dell’art. 603-bis c.p. concernente il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” introdotto per la prima volta con il D.L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. 148/2011.
Rispetto al testo previgente, volto a punire la condotta di chi svolgesse “un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”, la nuova fattispecie risulta sicuramente ampliata.
Il reato in esame, oggi, risulta slegato dal requisito dello svolgimento di “un’attività organizzata di intermediazione”, andando a colpire non solo chi “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento…”, ma altresì chiunque “utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
A ciò deve aggiungersi che integra il reato de quo, rispetto alla fattispecie previgente, anche la condotta non caratterizzata da violenza, minaccia o intimidazione, posto che la violenza e la minaccia sono divenute oggi circostanze aggravanti e non più elementi costitutivi del reato.
Anche gli “indici di sfruttamento” enunciati dall’art. 603-bis c.p. assumono una connotazione più ampia, essendo oggi alcuni di essi parametrati, ad esempio, non più a condotte sistematiche di sottoretribuzione e violazione delle norme su orari, riposi, aspettativa e ferie, bensì a siffatte condotte anche solo “reiterate”.
Di particolare rilievo è anche l’indice di sfruttamento relativo alla “sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro” che oggi, a differenza di prima, rileva anche laddove non sia tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale.
Il “grave pericolo” infatti rileva ora solo quale circostanza aggravante ai sensi del comma 4 punto 3).
Inoltre evidenziamo che nel contesto di tale indice non rileva neppure la reiterazione della condotta.
L’intervento legislativo mira al contrasto del reato in esame anche attraverso altri strumenti, quali:
– l’introduzione, con l’art. 603-bis.1 c.p., di un’attenuante in caso di comportamenti collaborativi;
– una nuova ipotesi di confisca obbligatoria, con l’introduzione dell’art. 603-bis.2 c.p.;
– la previsione di un “controllo giudiziario dell’azienda”, con nomina di un “amministratore giudiziario” destinato ad affiancare l’imprenditore;
– la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza, con modifica dell’art. 380, co. 2 c.p.p.;
– l’estensione al reato in esame della particolare confisca di cui all’art. 12-sexies D.L. 306/1992.
Venendo a quanto qui maggiormente interessa, l’art. 6 della L. 199/2016, introduce il reato di cui all’art. 603-bis c.p. in seno all’art. 25-quinquies, co. 1, lett. a) D.Lgs. 231/01, prevedendo per l’ente le stesse gravissime sanzioni disposte per i diversi reati di “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” (art. 600 c.p.), “Tratta di persone” (art. 601 c.p.) e “Acquisto e alienazione di schiavi” (art. 602 c.p.):
– sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote;
– sanzioni interdittive di cui all’art. 9, co. 2 D.Lgs. 231/01, senza esclusioni, per una durata non inferiore ad un anno;
– interdizione definitiva dall’attività, se l’ente o una sua unità organizzativa sono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del reato.
Appare dunque evidente la pericolosità insita nella previsione di tali sanzioni estreme, collegate ad un reato non più limitato a chi svolge attività organizzata di intermediazione, non più legato a violenza e minaccia come elementi costitutivi e connotato da “uno sfruttamento” i cui indici si rinvengono nella semplice reiterazione di condotte di retribuzione difforme, violazione delle norme su orario, riposo, aspettativa e ferie o nella mera sussistenza di violazione delle norme antinfortunistiche, anche non tali da esporre a pericolo il lavoratore.
Il tutto con l’unico connotato caratteristico dell’esistenza di uno “stato di bisogno” del lavoratore di cui il reo approfitti.
Rileviamo come, a contemperamento di una siffatta estensione nella possibile applicazione della norma, si debba tuttavia considerare la natura dolosa del reato in esame con la conseguenza che le condotte costituenti “indice di sfruttamento” rileveranno solo ove dolosamente preordinate a sottoporre “i lavoratori a condizioni di sfruttamento” con consapevolezza e volontà di approfittare “del loro stato di bisogno”.
Quanto detto va considerato anche nell’ottica della revisione dei Modello 231 con l’introduzione di eventuali nuovi protocolli di prevenzione e dell’impostazione dell’analisi per far emergere comportamenti a rischio.
Sicuramente assumerà rilievo in tale ambito la gestione del personale, in seno alla quale dovrà essere posta attenzione, ad esempio, ad aspetti inerenti la definizione e gestione della retribuzione e l’organizzazione dei turni di lavoro che possono avere impatto sugli aspetti disciplinati al comma 3 punto 2).
L’organizzazione della sicurezza e la gestione ed attuazione dei relativi adempimenti assumono ora ulteriore rilievo, quali possibili fonti di Responsabilità 231, indipendentemente e non più solo in connessione al verificarsi di infortuni. Quindi meriteranno una rivalutazione ed un riesame anche tali aspetti e la politica d’impresa sulla sicurezza, magari già gestiti da specifici protocolli di prevenzione e procedure.